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domenica 21 aprile 2013

La Contessa Giulia Tasca di Cutò era la più bella! Immortale nel ritratto di G. Boldini!
















L' ultima notte di un ufficiale squattrinato e della contessa, regina dei salotti palermitani. Il processo durò un anno, Vincenzo disse di avere ucciso folle di gelosia! I giornali e l' alta società si schierarono contro di lui.





Un coltello da caccia a serramanico con manico in corno di cervo, un fazzoletto insanguinato, alcune ciocche di capelli trattenute ancora da forcine, una scatola di cerini: è tutto ciò che rimane del dramma passionale che ebbe per protagonisti lala contessa Giulia Trigona di Sant' Elia, dama di corte della regina Elena, e il tenente di Cavalleria barone Vincenzo Paternò del Cugno. Questi reperti, come si dice in termini tecnici, sono custoditi in una vetrina del museo criminologico di via del Gonfalone a Roma, insieme con le foto del Paternò. Nella tarda mattina del 2 marzo 1911, nella stanza di un albergo di second' ordine, l' Hotel Rebecchino, di fronte alla Stazione Termini a Roma, il barone Paternò uccise la contessa Giulia Trigona e si sparò un colpo di pistola alla tempia. Miracolosamente scampò alla morte perché il proiettile si arrestò alla base del cranio. 






Giulia Mastrogiovanni Tasca di Cutò sposata Trigona di S. Elia,  a 25 anni circa






Alla notizia del delitto la regina Elena, che aveva tentato più volte di convincere la sua dama di compagnia a rompere la relazione e a tornare con il marito, fu colta da malore. Quando la salma della contessa viene tradotta in treno a Palermo, il viaggio è interrotto nelle stazioni di Sicilia da una moltitudine di gente commossa. I resoconti dei quotidiani vanno a ruba. Al delitto sono dedicate intere pagine dal «Corriere della Sera», dai giornali siciliani e anche dalla stampa internazionale. Lo scandalo, oltre a sfiorare l' ambiente di corte, coinvolgeva le più note famiglie dell' aristocrazia siciliana e personaggi di primo piano: il deputato socialista Alessandro Tasca, fratello di Giulia, il marito Romualdo già sindaco di Palermo e senatore e il maggiore esponente della finanza siciliana, l' armatore Ignazio Florio, che era al centro della vita brillante di Palermo. 







La Principessa Giovanna Filangieri di Cutò (1850 -91) madre di Giulia





Questi aveva una moglie affascinante che aveva suscitato l' ammirazione di d' Annunzio ed era intima amica della vittima. Nelle case aristocratiche di Palermo si respirava l' atmosfera della belle époque che si avviava al tramonto in tutta Europa, ma che in Sicilia era ancora un modo di essere. Giulia era la quinta figlia della principessa Giovanna Filangieri di Cutò e del conte Lucio Mastro Giovanni Tasca Lanza






Alessandro Tasca Filangeri di Cutò detto Il Principe Rosso





Aveva trascorso l' infanzia e l' adolescenza nel Palazzo Filangieri, che apparteneva alla famiglia e che verrà descritto col nome di Donnafugata nel romanzo Il Gattopardo da Giuseppe Tomasi di Lampedusa, nipote della contessa perché figlio della sorella Beatrice e del principe Giulio Tomasi. Da bambina, Giulia si aggirava nel giardino con «anonimi busti di dei senza naso e la fontana dove le acque erompevano in filamenti sottili. Dall' intera fontana, dalle acque tiepide, dalle pietre rivestite di muschi vellutati - scrive Tomasi di Lampedusa - emanava la promessa di un piacere che non avrebbe mai potuto volgersi in dolore». Ma lutto e dolore dovevano essere nel destino di Giulia. Era una delle più belle donne di Palermo e una protagonista della vita mondana. Nella società palermitana c' era chi la considerava solo una creatura graziosa e sostanzialmente inconsistente. Ma non era così. Ella accarezzava il sogno romantico di un grande amore e la sua drammatica vicenda fa pensare a lei come una Emma Bovary siciliana






Le sorelle Beatrice, Teresa e Lina (Nicoletta) Mastrogiovanni Tasca di Cutò






Le sue lettere all' amante hanno un sapore dannunziano: «O delizia dei miei sensi. La tua dolce bocca mi fa impazzire di voluttà! Lascerò tutto per vivere con te». Come sostenne nel processo il celebre avvocato Arturo Vecchini, difensore di Paternò, queste espressioni della contessa sono una conferma della passione che contrassegnava il loro rapporto. E la più appassionata era proprio Giulia, che sembra volersi ribellare ad ogni convenzione sociale quando scrive al Paternò: «Tutto quello che il mondo chiama dovere e onestà mi sembra pusillanime e sciocco». La relazione aveva avuto inizio nel 1909: l' 11 agosto 1909 è, infatti, la data incisa sulla medaglia d' oro ornata dall' effige di San Giorgio che il barone donò a Giulia a suggello del loro amore. 







Giulia Mastrogiovanni Tasca di Cutò, splendida ricostruzione fotografica di una delle donne siciliane più affascinanti della Belle Epoque 







I primi incontri erano avvenuti a Palermo nei salotti di Villa Igea, la dimora dove i Florio davano i loro fastosi ricevimenti. Giulia Trigona era convalescente di una lunga malattia e covava un desiderio di vendetta verso il marito, da cui si sentiva offesa per i suoi frequenti tradimenti. Il barone Paternò era quello che si definiva un viveur anche se squattrinato: le miniere di zolfo di suo padre non davano più alcun reddito, sicché si dibatteva tra cambiali e richieste di sussidi. Il brillante ufficiale di Cavalleria del reggimento «Foggia» era conosciuto anche per il temperamento violento e impetuoso. Amava giocare d' azzardo, si accompagnava spesso con mondane, era un «farfallone attratto solo dalla vivida luce dei Florio» scriverà Tomasi di Lampedusa






Maria Teresa Filangieri di Cutò






I convegni degli amanti diventano sempre meno clandestini e il marito non può più ignorarli. Il 15 gennaio 1911 scaccia la moglie, ma su pressione dei parenti la riaccoglie in casa. Giulia promette d' interrompere la relazione ma non mantiene la promessa, anzi, decide di separarsi per andare a vivere con Paternò. Nasce però un problema economico: alla sua richiesta di separazione, il marito obietta che mancano i soldi e Giulia decide di riscattare un feudo datole che le servirà per pagare i debiti del consorte. Intanto il barone, che ha lasciato l' esercito, si è trasferito a Roma per seguire le pratiche di separazione alle quali partecipa il cognato, l' avvocato Serrao, che lui stesso ha consigliato come consulente. La vicenda si complica quando Giulia cambia idea e decide di separarsi ma anche di abbandonare l' amante. Su consiglio degli avvocati e dello stesso Serrao vincola la disponibilità della somma ricavata dal feudo per evitare che essa finisca nelle mani di Paternò. 




Giuseppe Tomasi di Lampedusa (autore de "Il gattopardo") negli anni 30






Quando questi lo viene a sapere, accorre al Quirinale, dove la contessa risiede in quanto dama di compagnia della regina. Nell' appartamento c' è il Serrao che cerca di non farlo entrare. Lo scontro è clamoroso: il barone lo scansa e a Giulia, che esce per calmarlo, strappa il medaglione che le aveva regalato, coprendola d' insulti. Molto probabilmente nasce adesso il sospetto, animato dalla gelosia, che lei si fosse ormai innamorata del Serrao. Nonostante tutti la sconsiglino di rivedere Paternò, la contessa accetta un ultimo incontro all' Hotel Rebecchino. Fanno l' amore, come testimonierà una cameriera che li aveva spiati dal buco della serratura e sarà questa, udendo dei rantoli, a far aprire la porta della stanza: la contessa, pugnalata a morte, giace sul letto insanguinato accanto al barone ancora in vita. Questi aveva acquistato il coltello la mattina stessa in un negozio vicino ottenendo lo sconto di una lira. 






Il coltello da caccia con cui il Barone Vincenzo Paternò del Cugno uccise la Contessa Giulia






Il processo, che ebbe un clamore enorme, si svolge a Roma un anno dopo. Si apre il 17 maggio 1912 e si conclude il 28 giugno con la condanna all' ergastolo di Paternò. Contro di lui sono tutti i giornali, ma soprattutto «L' Ora» di Palermo di proprietà dell' armatore Florio e la grandissima maggioranza dell' opinione pubblica. Pesano a suo carico la perizia del più famoso psichiatra del tempo, Filippo Saporito, che lo ha esaminato nel manicomio giudiziario di Aversa e lo ha giudicato sano di mente, la testimonianza, in un drammatico confronto, dello stesso cognato Serrao e la circostanza che egli avrebbe chiesto danaro in prestito anche alla contessa, tutti elementi che dettero forza all' accusa. A nulla valse l' eloquenza del famoso avvocato difensore Vecchini, che sostenne che il delitto era il frutto di una passione accecante. 


Ciocca di capelli con forcina della Contessa Giulia



I giurati non accettano attenuanti e accolgono la tesi dell' accusa, secondo cui Paternò voleva approfittare del patrimonio della contessa e avrebbe inscenato un falso tentativo di suicidio. Matilde Serao scrive nel suo giornale «Il Giorno»: «Chi rammenterà più l' errore di Giulia Trigona? Ella ha dato la sua vita di giovane donna, di madre amorosa, ha veduto l' orribile morte innanzi ai suoi occhi, il gran pianto di tutti laverà di ogni tara la sua memoria e la preghiera di tutte le anime innocenti raccomanderà al Dio di tutte le clemenze una penitente, una martire, Giulia Trigona». Nel 1942, all' età di 62 anni, il barone Vincenzo Paternò del Cugno fu graziato. Riacquistata la libertà si sposa, ha un figlio e muore nel 1949.






Fazzoletto intriso di sangue della Contessa Giulia. Tutti i reperti si trovano al Museo Criminologico di Roma.






I protagonisti - La principessa, il tenente e il lusso dei ricevimenti Si conoscono nel lusso dei ricevimenti della Palermo bene ma il loro amore finirà nel sangue. Lei, Giulia Trigona di sant' Elia, nata principessa Tasca di Cutò e a quindici anni andata in sposa al conte Romualdo, ha trent' anni e due figlie. Lui, Vincenzo Paternò del Cugno, barone catanese, tenente di cavalleria, quando la uccide sgozzandola con un coltello da caccia di anni ne ha 31. Forse lo fa per soldi, forse per gelosia. È il 1911, la vicenda invade le pagine dei quotidiani. «È un incubo, una visione di cattivo sogno», scrive il Corriere della Sera all' indomani del delitto. Ma la memoria non si spegne: nel 1978 uno sceneggiato televisivo in tre puntate (Il delitto Paternò) rievocherà la sfortunata storia. Protagonisti, Lino Capolicchio e Delia Boccardo.


1 commento:

  1. Gabry! Non mi dici più niente. Spesso non rispondi a telefono! Come mai? Hai già trovato chi ti ha guarito dai fantasmi del passato? Ti ha fatto così male questa donna da te definita di mal affare? Scordala, non ne vale la pena, se ti ha venduto per 30 danari! Vorrei guarirti ma penso che sei in buona compagnia. Quando vengo a giugno dimmi tutto. Un abbraccio. Lucrezia.
    P.S. Abbiamo trovato casa dalle tue parti, ti faremo una sorpresa!

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