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sabato 27 ottobre 2012

"Love and limerence: amore e incapricciamento"








La limerenza è una forma d’amore con intensi sentimenti d’ammirazione e necessità di essere corrisposti dalla persona oggetto di limerenza, il cosìddetto "mal d’amore"; è piuttosto comune sentire: "è innamorato di x, non è più lui!"… ovvero la limerenza è un sentimento che trascina in un abisso di incomprensioni da parte di tutti coloro che non la sperimentano. 


Anne  Hathaway - Amore ed altri rimedi

  

Origine della Limerenza, 

Dorothy Tennov Negli anni ‘60, la psicologa Dorothy Tennov effettuò un’osservazione su 500 soggetti e il loro modo di vivere l’amore, pubblicando nel 1979 un libro dal titolo: "Love and Limerence: The Experience of Being in Love" dove il termine appariva per la prima volta. Dalla ricerca emerge che la limerenza non è logica e si manifesta come forma irrazionale nella necessità di essere corrisposti in sentimenti di somma ammirazione. Dorothy Tennov scelse appunto la parola "limerence" per il significato e la valenza insita nel termine: "incapricciamento"


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Caratteristiche della limerenza
Probabilmente, l’aspetto maggiormente rilevante della limerenza è quello che può essere riconosciuto come "pensiero intrusivo", che sfocia nell’ossessione. Gli affetti da limerenza pensano spesso ed in forma involontaria, all’oggetto della propria limerenza; situazioni, oggetti, parole, che non avevano relazione alcuna con la persona "bersaglio" riconducono ad essa.
Le persone limerenti hanno una percezione alterata della realtà per quanto concerne l’oggetto di limerenza: ogni minima azione è studiata e valutata, gesti innocui possono essere interpretati come interesse nei loro confronti, determinate situazioni ricreate con vivida immaginazione, mentalmente, etc.
In questo caso potremmo trovarla in comorbilità con la allomnesia, conosciuta anche come illusione della memoria, ossia il ricordo distorto di fatti passati. Racconti inventati di esperienze personali possibilmente accaduti. La memoria ingannevole fa sì che ricordiamo solo una parte dei fatti o una distorsione degli eventi in funzione dello stato d’animo presente.
Ad esempio una persona "circostan- zialmente" triste investe un’esperienza divertente e spensierata di toni grigi o al contrario rimembra un giorno funesto come estremamente positivo. Nel nostro caso, solitamente, una persona ossessivamente possessiva opera una rilettura del passato attraverso la quale poter giustificare l’attuale mancanza di fiducia. 

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È un disturbo assai più frequente di quanto si possa immaginare… Tornando alla limerenza, adduciamo la presenza di effetti fisici, somatizzazione della sofferenza: tremori, accelerazione del ritmo cardiaco, sudorazione elevata, confusione, “visione a tubo”, emicrania, debilitazione generale, etc. La persona è frequentemente in uno stato di ansia, tensione e timidezza, specialmente al cospetto dell’oggetto del desiderio. 


Chi può esserne affetto
Chiunque, in qualsiasi momento, può iniziare a patire la limerenza. Di norma la persona "bersaglio" è un possibile partner sessuale (o no), coerentemente all’orientamento del limerente. Ovviamente sebbene la sessualità possa peggiorare o migliorare di molto lo stato, non è una variabile preponderante dell’interesse del paziente e del disturbo, in ultima analisi è rilevante ma non implica una necessaria corrispondenza.
Paradossalmente a differenza di altre forme d’amore, la limerenza non denota preoccupazione per il benessere della persona-oggetto ed i suoi sentimenti, nè la sua partecipazione e relazione autentica. Motivo per il quale rientra a pieno titolo nei disturbi psichici e nelle pseudopatologie emozionali del XXI secolo, specchio della società individualista ed autocentrata. I limerenti sentono anche una gran necessità di esclusività, che li conduce ad irretirsi in un ordito di gelosia e dubbio sempiterni. 


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Altresì, si presenta indipendentemente dalla conoscenza reale ed approfondita dell’altro e dal lasso di tempo trascorso insieme; si può trattare di un rapporto instaurato anni prima o di una conoscenza superficiale, l’insorgenza è brusca, involontaria e scatenata da nessun evento particolare.
La persona limerente è anche generalmente insicura, con una personalità ed un Io non marcati e definiti, ha necessità di trovare negli altri conferme, riconoscimento e approvazione al suo essere e ad i suoi atti, è malleabile, non in grado di prendere decisioni e posizione. Trova appagamento nel possedere l’altro nell’atto sessuale e tende a considerarlo, appunto, un oggetto. Potremmo ipotizzare una classificazione, per quanto azzardata, fra i disturbi ossessivo-compulsivi, anche se la letteratura in merito è inesistente. È un disturbo pervasivo che sta dilagando fra le nuove generazioni, figlie del consumismo, del materialismo, dell’incertezza, a nostro avviso, fortemente sottovalutato. 

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La massima espressione di ciò che Bauman definisce "Amor liquido", della mercificazione e fruibilità dei rapporti.
Compresente quella che amiamo definire "poetica della mancanza" - nel caso in cui si riesca ad intrecciare una relazione fra il limerente e l’oggetto - l’attribuzione di valore alle persone, prima di possederle ed una volta “perse” e la mancanza di attenzione e reciprocità durante il possibile rapporto. Quasi si trattasse di masochismo emotivo e ricerca di malessere, tesi a colmare il proprio vuoto interiore, che nulla ha a che vedere con l’amore. 


Altri significati di Limerence
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

La Limerence (o Ultrattaccamento) è uno stato cognitivo ed emotivo caratterizzato da intenso desiderio per un'altra persona. Il termine fu coniato dalla famosa psicologa Dorothy Tennov per descrive lo stadio finale, quasi ossessivo dell'amore romantico.[1]
Il concetto rappresenta un tentativo di impostare scientificamente lo studio dell'amore romantico. Il termine limerence si riferisce spesso a voler intendere lo stato di una persona che esprime un intenso desiderio di attaccamento, preoccupazione per la persona amata, e, come mostrano recenti ricerche sulla neurochimica, uno stato mentale simile ad un disturbo ossessivo-compulsivo[2].



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Secondo la Tennov, esistono almeno due tipi di amore: "limerence", quello che lei chiama "attaccamento amoroso", e l'"affetto amorevole", cioè il tipo di legame che gli individui instaurano con i propri genitori e i propri figli.[3]
Lo stato di limerence è caratterizzato da pensieri intrusivi e da un'acuta sensibilità ad eventi esterni che riflettono la disposizione della persona nei confronti degli individui: si può provare un'intensa gioia o essere inclini a un'estrema disperazione, a secondo di come i propri sentimenti vengono ricambiati. Molte lingue, a differenza dell'inglese, posseggono termini tradizionali per denotare la limerence, come il tedesco Verliebtheit, lo scandinavo forelskelse, il brasiliano paixonite, o il russo влюблённость (vlyublyonnost).


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Origini
L'attaccamento amoroso, nella sua accezione ossessiva-compulsiva è il tratto caratteristico della limerence. Il concetto di limerence si trova per la prima volta nelle ricerche di Tennov a metà degli anni sessanta. Ella sottopose ad intervista oltre 500 persone sull'argomento dell'amore. La Tennov coniò il termine "limerence" nel 1977, pubblicandolo poi nel suo libro dello stesso anno, Love and Limerence: The Experience of Being in Love.
Tennov opera una differenziazione tra la limerence e altri stati emotivi affermando che l'amore implica interesse per il benessere e per i sentimenti dell'altra persona. Sebbene la limerence non lo presupponga, l'interesse vi può certamente essere incluso. Affetto e tenerezza esistono solo come disposizioni verso un'altra persona, a prescindere dal fatto che questi sentimenti siano ricambiati, laddove invece la limerence richiede che lo siano. Il contatto fisico con l'oggetto amato non è né essenziale né sufficiente a chi stia facendo esperienza di limerence, a differenza di chi prova un'attrazione sessuale. Lo stato iniziale dell'innamo- ramento definito in inglese New Relationship Energy (NRE) si avvantaggia di una comunicazione aperta e di una consapevole mutualità di sentimenti ed è generalmente vista come una positiva esperienza di legame, mentre la limerence può disperdersi una volta che si sia stabilita una reciprocità, ed è caratterizzata da incertezza e ansietà.


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David Brooks e Edgar Morin
La cultura occidentale, da sempre prigioniera del mito della ragione, ha idealizzato una razionalità pura, radicalmente separata dalle emozioni e dalle passioni. Antonio Damasio ci ha però insegnato che la razionalità pura non esiste. Ogni attività razionale è sempre accompagnata da una dimensione emotiva. Ma per troppo tempo abbiamo eluso la questione centrale: quella del rapporto tra docenti e allievi. Sono arrivato a credere che questi errori nascano tutti da un unico equivoco, dovuto a una concezione semplicistica della natura umana. La nostra società – e non mi riferisco solo al mondo politico, ma a numerose altre sfere – vede l’essere umano come una creatura divisa in due parti distinte: da un lato la ragione, di cui è giusto fidarsi; dall’altro le emozioni, che sono invece sospette. Si tende a credere che il progresso sociale sia portato avanti dalla sola ragione, nella misura in cui riesce a reprimere le passioni.
Questa concezione conduce a una distorsione della nostra cultura, che esalta il razionale e il cosciente, ma resta nel vago sui processi in atto negli strati più profondi. Siamo bravissimi a parlare di cose materiali, ma quando si tratta di emozioni la nostra abilità viene meno.
Cresciamo i nostri figli focalizzando tutta l’attenzione sugli aspetti misurabili attraverso i voti o i test attitudinali; ma spesso non abbiamo nulla da dire sugli aspetti più importanti, come il carattere o il modo di gestire i rapporti. Nella vita pubblica, le proposte politiche provengono spesso da esperti perfettamente a loro agio in correlazione con quanto può essere misurato, quantificato o aggiudicato, ma che ignorano tutto il resto.
Eppure, mentre siamo tuttora invischiati in questa concezione amputata della natura umana, vediamo emergere una visione nuova, più ricca e profonda, grazie all’opera di un gran numero di ricercatori delle più diverse discipline, dalla neuroscienza alla psicologia, dalla sociologia all’economia comportamentale e via dicendo.
Questo corpus di ricerche, disperso ma sempre crescente, ci richiama alla mente una serie di concetti chiave. Ricordiamo innanzitutto che la parte più importante della mente è quella inconscia, sede dei più straordinari prodigi del pensiero. In secondo luogo, l’emozione non è contrapposta alla ragione; sono anzi le nostre emozioni ad attribuire valore alle cose, e a costituire la base della ragione. Infine, noi non siamo individui che costruiscono relazioni reciproche, bensì animali sociali profondamente interpenetrati gli uni con gli altri, “emersi” proprio grazie alle nostre relazioni.


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Alla luce di questo, la visione illuminista francese della natura umana, che pone in primo piano l’individualismo e la ragione, appare fuorviante, mentre sembra più vicina al vero quella dell’illuminismo britannico, che privilegia il senso sociale e non ci descrive come creature divise. Il nostro progresso non avviene solo
grazie alla ragione e al suo dominio sulle passioni.
Evolviamo anche educando le nostre emozioni. Una sintesi di queste ricerche apre nuove prospettive in tutti i campi, dal mondo economico alla politica, passando per la famiglia. E porta a non privilegiare più lo sguardo analitico sul mondo, ma piuttosto il modo in cui le persone lo percepiscono per organizzarlo nella loro mente. Si guarda un po’ meno ai tratti individuali, e si presta maggiore attenzione alla qualità dei rapporti tra gli esseri umani. Cambia anche il modo di vedere quello che chiamiamo «capitale umano». Nel corso degli ultimi decenni si è affermata la tendenza a definirlo nel senso più restrittivo del termine, ponendo l’accento sul quoziente di intelligenza e sulle competenze professionali – che certo sono importanti. Ma le nuove ricerche pongono in luce tutta una serie di talenti più profondi, che abbracciano sia l’aspetto razionale che quello emotivo, fondendo insieme queste due categorie:

1) Sintonia: la capacità di immedesimarsi nella mente altrui, prendendo conoscenza di ciò che ha da offrire.

2) Ponderatezza: la capacità di osservare serenamente i moti della propria mente e di correggerne gli errori e i pregiudizi.

3) Metis (da Metide, dea greca della saggezza, ndt) : la capacità di individuare gli schemi e i modelli di sistemi aggregati (pattern) comprendendo l’essenza delle situazioni complesse.

4) Simpatia: la capacità di inserirsi nell’ambiente umano che ci circonda e di evolvere all’interno dei movimenti di un gruppo.




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5) Limerence (termine coniato dalla psicologa Dorothy Tennov per descrivere lo stadio finale, quasi ossessivo dell’amore romantico, uno sorta di ultra attaccamento, ndt): più che un talento, è una motivazione. Se la mente cosciente è avida di denaro e di successo, quella inconscia ha sete dei momenti di trascendenza in cui, mettendo a tacere la skull line - la «linea del cranio» - ci abbandoniamo perdutamente all’amore per l’altro, all’esaltazione per una missione da svolgere, all’amore di Dio. Un richiamo che sembra manifestarsi in alcuni con potenza molto maggiore rispetto ad altri.

Le tesi elaborate sul subconscio da Sigmund Freud hanno avuto effetti di vasta portata sulla società, oltre che sulla letteratura. Oggi, centinaia di migliaia di ricercatori stanno facendo emergere una visione sempre più accurata dell’esse-
re umano. E pur essendo di natura scientifica, il loro lavoro orienta la nostra attenzione verso un nuovo umanesimo, poiché sta incominciando a porre in luce la compenetrazione tra emotività e razionalità. Mi sembra di intuire che questo lavoro di ricerca avrà effetti di vasta portata sulla nostra cultura, cambiando il nostro modo di vedere noi stessi. E chissà che magari un giorno non riesca persino a trasformare la visione del mondo dei nostri politici. Per la nostra società l’essere umano è una creatura divisa in due: ragione e sentimento. Sappiamo parlare della prima ma siamo impreparati sul secondo.
Dobbiamo puntare a una visione diversa più ricca e profonda Che tenga conto dell’importanza dei rapporti tra le persone.


LA BIOLOGIA DELLE PASSIONI






LA BIOLOGIA
DELLE PASSIONI



Prima era il cervello che decideva tutto. Poi si è scoperto il ruolo  dei messaggi chimici. Oggi si comincia a capire in che modo le molecole ci rendono felici o angosciati affamati o sazi dominatori o dominati. Con un'incognita: chi dirige il laboratono? Il neurofisiologo francese Jean-Didier Vincent sostiene che le nostre passioni sono il risultalo di una  complessa interazione tra la “fabbrica chimica” del corpo e la “centrale elettrica” del cervello


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Diremo domani “sono pieno di acetilcolina” invece che «ho sete?». O «ho troppa colecistochinina» per dire che “mi è passata la fame?”. Oppure “la luliberina mi ha invaso l'ipotalamo, ragazza mia” al posto del più diretto «ti amo?».

Forse sì. La «chimica delle passioni» si va facendo sempre più raffinata e raccoglie dati in continuo aumento su un duplice ordine di fenomeni: quegli stati affettivi ed emozionali che usiamo chiamare passioni (l'amore, la fame e la sete, il piacere del dominio sugli altri) sono la conseguenza dell'azione di una serie di processi ormonali, da un lato; dall'altro, a regolare e modulare queste azioni sono gli impulsi nervosi che gli stimoli dell'ambiente esterno scatenano in noi a livello cerebrale. Quell'animale sofisticato ed evoluto che è l'uomo vive (e sopravvive) grazie ai meccanismi elettrochimici che interagiscono di continuo in lui tra cervello e secrezioni endocrine (gli ormoni, appunto), impartendo “ordini di comportamento” a una sconfinata rete operativa di cavi su cui scorrono gli impulsi nervosi e le risposte biochimiche.



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L'acetilcolina, per chiarire con qualche dettaglio le tre immagini di cui ci siamo serviti all'inizio, provoca un immediato «bisogno di bere» se la si somministra per iniezione nell'ipotalamo laterale di un animale da esperimento. Il Cck, la colecistochinina (chiamata anche l'ormone della sazietà,) è un peptide prodotto dall'intestino nel corso digestione, che suggerisce di smettere di mangiare (ma è anche il cervello ad accogliere il suggerimento trasformandolo in un ordine: e, siccome il Cck non attraversa la barriera tra circolo del sangue e cervello di cui parliamo più avanti, oggi si crede che esista una produzione parallela di colecistochinina anche a livello cerebrale). Quanto alla luliberina, essa è un ormone di origine cerebrale che agisce sull'ovaia attraverso l'ipofisi: stimola il desiderio amoroso e dà l'avvio al comportamento sessuale.
 La nuova biochimica. che cosi spesso scopre ormoni originati non dalle ghiandole 


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endocrine a tutti note (tiroide, surrenali, pancreas, ovaie, eccetera) ma dal cervello stesso. E in più casi sottolinea la compresenza di un impulso nervoso perché la secrezione ormonale agisca, ripropone un dilemma non nuovo: e l'ormone la vera chiave di volta del sistema (soprattutto là dove la sua assenza altera o addirittura arresta i processi) o e comunque sempre il centro (il cervello) a dare ordini alla periferia. utilizzando gli ormoni solo come strumenti?
  Vi sono biochimici “meccanistici” (“riduzionisti” li chiamano fra gli addetti ai lavori) che difendono l'autonomia e l'indipendenza dell'ormone; ve ne sono all'opposto che predicano l'assoluta preminenza del dato cerebrale. Segue una terza via il professor Jean-Didier Vincent, neurofisiologo francese di fama internazionale, che si autodefinisce “di terza generazione”. La prima generazione dei biologi della nostra età si era fermata alla constatazione, in sé non errata, che il cervello dell'uomo fosse da considerare un assieme di circuiti e potenziali elettrici; la seconda generazione, più aggiornata in biologia molecolare, vedeva ragionamenti  e  comportamenti  soprattutto  in termini di scambi continui di segnali chimici in codice.


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La generazione di cui Vincent è fra i capifila introduce ora nel discorso ormoni-neuroni una sorta di “principio d'indeterminazione” (e il nocciolo della “teoria delle emozioni” appunto di Jean-Didier Vincent: a produrre indeterminazione sono gli ormoni, i quali portano ventate di alternanza nella rigidità delle architetture cerebrali). Ma ogni regola ha in sé la sua contraddizione: due ormoni uguali producono effetti diversi (a volte persino contrari); uno stesso ormone serve a più funzioni (la vasopressina contrae i vasi sanguigni. Come il nome stesso dice, ma è anche un ormone “antidiuretico”) a seconda dei recettori a cui si aggancia; infine il sistema nervoso centrale di una persona reagisce in modi diversi all'intervento di uno stesso ormone a seconda di come risponde quello che Vincent ha battezzato il nostro “cervello vaporoso”: un cervello cioè che ha suoi “imprinting” differenti per ciascuno, a seconda della genetica dell'ambiente, del proprio personale vissuto.
  Jean-Didier Vincent è l'uomo del giorno, tra fisiologi, neurologi e fisici, anche per il libro che ha pubblicato sulla Biologia delle passioni una sorta di summa aggiornata delle nozioni di frontiera di cui disponiamo su ormoni, recettori, neurotrasmettitori (e neuromodulatori). Per il profano (profano colto: il libro non è scienza romanzata) l'informazione che gli dà Vincent è chiara, avvincente, spesso cosi inedita da apparire incredibile. Per l'addetto ai lavori (che avrà comunque interesse a non privarsene) il testo rappresenta un continuo invito all'autoironia; della scienza in genere, della biologia in ispecie, bisogna anche diffidare. 


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Essa è la stimolante materia del dubbio, le sue scoperte sono datate e non sopravvivono ormai in genere più di due-tre anni, sono molte le domande alle quali non è ancora in grado di rispondere, il continuo aumento delle informazioni disponibili nasconde un crescente impoverimento dei concetti chiave.
“Vuol ripetere, professore?” chiediamo a Jean-Didier Vincent in un incontro nel suo laboratorio di ricerca (Vincent ha fondato e dirige, a Bordeaux, l'Unità neurobiologia dell'Inserm, l'Istituto nazionale francese della sanità e della ricerca medica): “La scoperta in biologia”, risponde sorridendo, «moltiplica il numero dei nuovi ormoni che conosciamo, cosi come in fisica entrano di continuo nelle nostre conoscenze nuove impreviste molecole. E con i telescopi d'oggi vediamo sempre più stelle: siamo al centro di una gigantesca "rivoluzione dei dati", ma si sente sempre il bisogno di rimettere l'orologio sull'ora giusta: quella che io chiamo "la rivoluzione dei concetti", e che oggi ci manca quasi del tutto, deve collocare i fatti al loro posto, dandoci non solo il come ma il perché. Gli esempi sono infiniti», continua Vincent “Prenda il morbo di Alzheimer: ora crediamo di sapere che questa patologia di demenza è legata alla scomparsa di una sola sostanza, e lavoriamo per reinserire quella secrezione ormonale mancante nel cervello del malato.


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Potremo anche avere prima o poi dei successi, me lo auguro, ma questo non significa minimamente che abbiamo attaccato e stiamo per risolvere il problema dei meccanismi dell'invecchiamento. Senza la rivoluzione dei concetti si rischia la babelizzazione della scienza”.
  Fermiamoci alla rivoluzione dei dati, professore: contro chi parla dell'uomo di cosa «altra» rispetto all'animale, come dell'espressione di un salto evolutivo, quindi con un suo statuto indipendente nella creazione, Vincent ribadisce con forza che l'uomo è solo uno - il più perfezionato ed evoluto - degli animali della Terra. Poi apparentemente si contraddice asserendo che non è corretto generalizzare, applicandoli all'uomo, i risultati degli esperimenti che il neurobiologo conduce sugli animali.
  Teniamo pur conto di questa giusta cautela e vediamo comunque cos'altro ci hanno insegnato le ultime scoperte in materia di intervento ormonale nello scatenamento delle grandi passioni dell'uomo. Passione viene da “patire” ed è tutto ciò che l'uomo e gli animali subiscono per i bisogni del corpo (la fame e la sete) e per gli eventi della loro vita affettiva (il desiderio, l'amore, il dolore, le gerarchie di dominio). Oggi, per contrapporre a questo stato passivo il dinamismo delle passioni si preferisce definirle «emozioni».
  Per alcuni studiosi della materia (tra cui un prete, padre Senault), tutte le emozioni si riducono ad una sola, l'amore («Togliete l'amore e non vi saranno più passioni, rimettetelo e le fate nascere tutte”), per altri esse sono quattro, undici, una 


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quarantina. Scegliamo una via di mezzo, fermandoci a vagliare tre passioni chiave: l'amore (il sesso), il cibo (fame e sete), il potere (col suo opposto: la sottomissione). Cosa sappiamo oggi di più sugli ormoni sessuali, professor Vincent?
  «Saltiamo i classici "vecchi" ormoni”, risponde. «che nascono dalle ovaie nella donna (estrogeni, progesterone) e dai testicoli nell’uomo (testosterone). Solo con un breve accenno, semmai, a qualcosa che ora sappiamo in più: un'iniezione di estradiolo (mi riferisco ovviamente sempre a sperimentazioni sull'animale) restaura in poche ore il desiderio e la seduzione perduti; una successiva iniezione di progesterone ha risultati contrastanti: entro poche ore dalla prima ne potenzia l'azione, fatta invece dopo la 48° ora ha un effetto inibitorio e si comporta come un ormone "della sazietà sessuale" “E c'è anche”, fa notare lo studioso, «un dato paradossale (perfino un po' ambiguo): il desiderio, nella donna, dipende dall'azione sul cervello dei suoi ormoni sessuali maschili (e non di quelli femminili): abbassando il tasso di testosterone nella donna (come avviene con alcune pillole anticoncezionali) si ha anche una riduzione della libido».
  Gli altri ormoni sessuali “nuovi”, professore, o le altre novità su quelli vecchi? «La vasopressina, oltre a riguardare rene e vasi, ha in campo sessuale un'attività per così dire memorizzante: se a un ratto si elimina la vasopressina e poi lo si castra, egli sospende ogni attività sessuale; se poi gli si somministra la vasopressina il ratto recupera la memoria e, pur castrato, si sforza di ristabilire il contatto sessuale.
  “Si parla a volte, dice ancora Vincent, «di "piccola morte" per l'orgasmo, equiparato a una sorta di crisi epilettica (ai punto che a volte si perde coscienza in quegli attimi). Manchiamo di una sperimentazione adeguata e può essere vero: i ritmi sovrapposti del pene, del bacino, della litania di parole che spesso accompagna l’atto possono costituire le scansioni capaci di scatenare una "piccola epilessia" orgasmica. Mi sembra comunque una visione soprattutto riduzionistica. Sono piuttosto dell'idea che la bufera neurovegetativa da cui sono travolti due amanti nel loro amplesso sia il contemporaneo avvampare parossistico dì una serie di strutture nervose "normali", che intervengono a catena nell'eccezionalità di questa emozione umana suprema”.


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Un'ultima domanda, professore: lei parla a volte del cervello come di una “ghiandola endocrina”. Nessun testo di fisiologia si esprime così. In che senso lo dice? *Partiamo dalla nozione, scontata ma esatta, che esiste una sorta di muro (la "barriera emato-encefalica") il quale separa il cervello dal resto dell'organismo. Sono ovvie l'importanza e I'utilità di questa barriera: essa protegge il cervello contro I'invasione di sostanze estranee trasportate dal sangue. C'è qualche rara porta d'entrata e di uscita, dalle quali però di norma non passano gli ormoni. Non attraversano la barriera, ad esempio, le fondamentali adrenalina e noradrenalina. Eppure il cervello è ricco di questi ormoni: quegli stessi che vengono fabbricati alla periferia, il cervello a sua volta li produce mediante il sistema nervoso centrale.
  *La lista degli ormoni presenti nelle diverse aree cerebrali e lunghissima, continua il professor Vincent, aActh (I'ormone corticotropo), prolattina, ossitocina, endorfine, dopamina, Gaba. serotonina, e cosi via. E in questo senso che parlo del cervello anche come di una vera e propria ghiandola endocrina, che si aggiunge a quelle periferiche note: a livello dell Ipotalamo il cervello riversa poi quegli ormoni che non utilizza in loco, in modo che entrino a loro volta nel circolo sanguigno generaie (I'ipotalamo, appunto una delle poche porte tra il cervello e il resto delI'organismo).
  Beninteso il cervello è "anche" una ghiandola: ricopre pure queste funzioni, ma solo in aggiunta alle migliaia d'altre che ne fanno il  centro affascinante  dalle  mille sfaccettature. Il più alto e ancora in parte misterioso di tutti i nostri organi!