DELLE PASSIONI
Prima era il cervello che decideva
tutto. Poi si è scoperto il ruolo dei
messaggi chimici. Oggi si comincia a capire in che modo le molecole ci rendono
felici o angosciati affamati o sazi dominatori o dominati. Con un'incognita:
chi dirige il laboratono? Il neurofisiologo francese Jean-Didier Vincent
sostiene che le nostre passioni sono il risultalo di una complessa interazione tra la “fabbrica
chimica” del corpo e la “centrale elettrica” del cervello
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Diremo
domani “sono pieno di acetilcolina” invece che «ho sete?». O «ho troppa
colecistochinina» per dire che “mi è passata la fame?”. Oppure “la luliberina
mi ha invaso l'ipotalamo, ragazza mia” al posto del più diretto «ti amo?».
Forse
sì. La «chimica delle passioni» si va facendo sempre più raffinata e raccoglie
dati in continuo aumento su un duplice ordine di fenomeni: quegli stati affettivi ed emozionali che usiamo chiamare
passioni (l'amore, la fame e la sete, il piacere del dominio sugli altri) sono
la conseguenza dell'azione di una serie di processi ormonali, da un lato;
dall'altro, a regolare e modulare queste azioni sono gli impulsi nervosi che gli stimoli dell'ambiente
esterno scatenano in noi a livello cerebrale. Quell'animale sofisticato
ed evoluto che è l'uomo vive (e sopravvive) grazie ai meccanismi elettrochimici
che interagiscono di continuo in lui tra cervello e secrezioni endocrine (gli
ormoni, appunto), impartendo “ordini di comportamento” a una sconfinata rete
operativa di cavi su cui scorrono gli impulsi nervosi e le risposte
biochimiche.
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L'acetilcolina, per chiarire con qualche dettaglio le tre immagini
di cui ci siamo serviti all'inizio, provoca un immediato «bisogno di bere» se la si
somministra per iniezione nell'ipotalamo laterale di un animale da esperimento.
Il Cck, la
colecistochinina (chiamata anche l'ormone della sazietà,) è un peptide prodotto dall'intestino nel
corso digestione, che suggerisce di smettere di mangiare (ma è anche il
cervello ad accogliere il suggerimento trasformandolo in un ordine: e, siccome
il Cck non attraversa la barriera tra circolo del sangue e cervello di cui
parliamo più avanti, oggi si crede che esista una produzione parallela di
colecistochinina anche a livello cerebrale). Quanto alla luliberina, essa è un ormone
di origine cerebrale che agisce sull'ovaia attraverso l'ipofisi: stimola il
desiderio amoroso e dà l'avvio al comportamento sessuale.
La nuova biochimica. che cosi spesso scopre
ormoni originati non dalle ghiandole
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endocrine a tutti note (tiroide,
surrenali, pancreas, ovaie, eccetera) ma dal
cervello stesso. E in più casi sottolinea la compresenza di un impulso
nervoso perché la secrezione ormonale agisca, ripropone un dilemma non nuovo: e
l'ormone la vera chiave di volta del sistema (soprattutto là dove la sua
assenza altera o addirittura arresta i processi) o e comunque sempre il centro (il cervello) a dare ordini alla periferia. utilizzando
gli ormoni solo come strumenti?
Vi sono biochimici “meccanistici”
(“riduzionisti” li chiamano fra gli addetti ai lavori) che difendono
l'autonomia e l'indipendenza dell'ormone; ve ne sono all'opposto che predicano
l'assoluta preminenza del dato cerebrale. Segue una terza via il professor Jean-Didier Vincent, neurofisiologo francese di
fama internazionale, che si autodefinisce
“di terza generazione”. La prima
generazione dei biologi della nostra età si era fermata alla
constatazione, in sé non errata, che il cervello
dell'uomo fosse da considerare un assieme di circuiti
e potenziali elettrici; la seconda generazione, più aggiornata in biologia molecolare, vedeva
ragionamenti e comportamenti
soprattutto in termini di scambi
continui di segnali chimici in codice.
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La generazione di cui Vincent è fra i
capifila introduce ora nel discorso ormoni-neuroni una sorta di “principio
d'indeterminazione” (e il nocciolo della “teoria delle emozioni” appunto di Jean-Didier Vincent: a produrre
indeterminazione sono gli
ormoni, i quali portano ventate di alternanza nella rigidità delle architetture
cerebrali). Ma ogni regola ha in sé la sua contraddizione: due ormoni
uguali producono effetti diversi (a volte persino contrari); uno stesso ormone
serve a più funzioni (la vasopressina
contrae i vasi sanguigni. Come il nome stesso dice, ma è anche un ormone
“antidiuretico”) a seconda dei recettori a cui si aggancia; infine il sistema
nervoso centrale di una persona reagisce in modi diversi all'intervento di uno
stesso ormone a seconda di come risponde quello che Vincent ha battezzato il
nostro “cervello vaporoso”: un cervello cioè che ha
suoi “imprinting” differenti per ciascuno, a seconda della genetica dell'ambiente, del proprio
personale vissuto.
Jean-Didier Vincent è l'uomo del giorno, tra
fisiologi, neurologi e fisici, anche per il libro che ha pubblicato sulla Biologia delle passioni una sorta di
summa aggiornata delle nozioni di frontiera di cui disponiamo su ormoni,
recettori, neurotrasmettitori (e neuromodulatori). Per il profano (profano
colto: il libro non è scienza romanzata) l'informazione che gli dà Vincent è
chiara, avvincente, spesso cosi inedita da apparire incredibile. Per l'addetto
ai lavori (che avrà comunque interesse a non privarsene) il testo rappresenta
un continuo invito all'autoironia; della scienza in genere, della biologia in
ispecie, bisogna anche diffidare.
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Essa è la stimolante materia del dubbio, le
sue scoperte sono datate e non sopravvivono ormai in genere più di due-tre
anni, sono molte le domande alle quali non è ancora in grado di rispondere, il
continuo aumento delle informazioni disponibili nasconde un crescente
impoverimento dei concetti chiave.
“Vuol ripetere,
professore?” chiediamo a Jean-Didier Vincent
in un incontro nel suo laboratorio di ricerca (Vincent ha fondato e dirige, a
Bordeaux, l'Unità neurobiologia dell'Inserm, l'Istituto nazionale francese della
sanità e della ricerca medica): “La scoperta in biologia”, risponde sorridendo,
«moltiplica il numero dei nuovi ormoni che conosciamo, cosi come in fisica
entrano di continuo nelle nostre conoscenze nuove impreviste molecole. E con i
telescopi d'oggi vediamo sempre più stelle: siamo al centro di una gigantesca "rivoluzione dei dati", ma si sente
sempre il bisogno di rimettere l'orologio sull'ora giusta: quella che io chiamo
"la rivoluzione dei concetti", e che oggi ci manca quasi del tutto,
deve collocare i fatti al loro posto, dandoci non solo il come ma il perché.
Gli esempi sono infiniti», continua Vincent “Prenda il morbo di Alzheimer: ora
crediamo di sapere che questa patologia di demenza è legata alla scomparsa di
una sola sostanza, e lavoriamo per reinserire quella secrezione ormonale
mancante nel cervello del malato.
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Potremo anche avere prima o poi dei successi,
me lo auguro, ma questo non significa minimamente che abbiamo attaccato e stiamo per risolvere il
problema dei meccanismi dell'invecchiamento. Senza la rivoluzione dei
concetti si rischia la babelizzazione della scienza”.
Fermiamoci alla rivoluzione dei dati,
professore: contro chi parla dell'uomo di cosa «altra» rispetto all'animale,
come dell'espressione di un salto evolutivo, quindi con un suo statuto
indipendente nella creazione, Vincent ribadisce con forza che l'uomo è solo uno - il più perfezionato ed evoluto - degli
animali della Terra. Poi apparentemente si contraddice asserendo che non
è corretto generalizzare, applicandoli all'uomo, i risultati degli esperimenti
che il neurobiologo conduce sugli animali.
Teniamo pur conto di questa giusta cautela e
vediamo comunque cos'altro ci hanno insegnato le ultime scoperte in materia di intervento ormonale nello
scatenamento delle grandi passioni dell'uomo. Passione viene da “patire” ed è tutto ciò che l'uomo e
gli animali subiscono per i bisogni del corpo (la fame e la sete) e per gli eventi della
loro vita affettiva (il
desiderio, l'amore, il dolore, le gerarchie di dominio). Oggi, per contrapporre
a questo stato passivo il dinamismo delle passioni si preferisce definirle «emozioni».
Per alcuni studiosi della materia (tra cui un
prete, padre Senault), tutte le emozioni si
riducono ad una sola, l'amore («Togliete
l'amore e non vi saranno più passioni, rimettetelo e le fate nascere tutte”),
per altri esse sono quattro, undici, una
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quarantina. Scegliamo una via di
mezzo, fermandoci a vagliare tre passioni chiave: l'amore (il sesso), il cibo (fame e sete), il potere
(col suo opposto: la sottomissione). Cosa sappiamo oggi di più sugli ormoni sessuali, professor
Vincent?
«Saltiamo i classici "vecchi"
ormoni”, risponde. «che nascono dalle ovaie nella donna (estrogeni,
progesterone) e dai testicoli nell’uomo (testosterone). Solo con un breve accenno,
semmai, a qualcosa che ora sappiamo in più: un'iniezione di estradiolo (mi riferisco ovviamente
sempre a sperimentazioni sull'animale) restaura in poche ore il desiderio e la seduzione perduti; una
successiva iniezione di progesterone ha risultati contrastanti: entro poche ore
dalla prima ne potenzia l'azione, fatta invece dopo la 48° ora ha un effetto
inibitorio e si comporta come un ormone "della sazietà sessuale" “E c'è anche”, fa
notare lo studioso, «un dato paradossale (perfino un po' ambiguo): il desiderio, nella donna, dipende
dall'azione sul cervello dei suoi ormoni sessuali maschili (e non di
quelli femminili): abbassando il tasso di testosterone nella donna (come
avviene con alcune pillole anticoncezionali) si ha anche una riduzione della libido».
Gli altri ormoni sessuali “nuovi”,
professore, o le altre novità su quelli vecchi? «La vasopressina, oltre a
riguardare rene e vasi, ha in
campo sessuale un'attività per così dire memorizzante: se a un ratto si
elimina la vasopressina e poi lo si castra, egli sospende ogni attività
sessuale; se poi gli si somministra la vasopressina il ratto recupera la
memoria e, pur castrato, si sforza di ristabilire il contatto sessuale.
“Si parla a volte, dice ancora Vincent, «di "piccola morte" per l'orgasmo, equiparato a una
sorta di crisi epilettica (ai punto che a volte si perde coscienza in
quegli attimi). Manchiamo di una sperimentazione adeguata e può essere vero: i
ritmi sovrapposti del pene, del bacino, della litania di parole che spesso accompagna l’atto
possono costituire le scansioni capaci di scatenare una "piccola
epilessia" orgasmica. Mi sembra comunque una visione soprattutto
riduzionistica. Sono piuttosto
dell'idea che la bufera neurovegetativa da cui sono travolti due amanti nel
loro amplesso sia il contemporaneo avvampare parossistico dì una serie
di strutture nervose "normali", che intervengono a catena
nell'eccezionalità di questa emozione umana suprema”.
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Un'ultima
domanda, professore: lei parla a volte del cervello come di una “ghiandola endocrina”.
Nessun testo di fisiologia si esprime così. In che senso lo dice? *Partiamo dalla
nozione, scontata ma esatta, che esiste una sorta di muro (la "barriera
emato-encefalica") il quale separa il cervello dal resto dell'organismo.
Sono ovvie l'importanza e I'utilità di questa barriera: essa protegge il
cervello contro I'invasione di sostanze estranee trasportate dal sangue. C'è
qualche rara porta d'entrata e di uscita, dalle quali però di norma non passano
gli ormoni. Non attraversano la barriera, ad esempio, le fondamentali adrenalina e noradrenalina. Eppure il cervello è
ricco di questi ormoni: quegli stessi che vengono fabbricati alla periferia, il
cervello a sua volta li produce mediante il sistema nervoso centrale.
*La lista degli ormoni presenti nelle diverse
aree cerebrali e lunghissima, continua il professor Vincent, aActh (I'ormone corticotropo), prolattina,
ossitocina, endorfine, dopamina, Gaba. serotonina, e cosi via. E in
questo senso che parlo del cervello anche come di una vera e propria ghiandola
endocrina, che si aggiunge a quelle periferiche note: a livello dell Ipotalamo
il cervello riversa poi quegli ormoni che non utilizza in loco, in modo che
entrino a loro volta nel circolo sanguigno generaie (I'ipotalamo, appunto una delle
poche porte tra il cervello e il resto delI'organismo).
Beninteso il cervello è "anche" una
ghiandola: ricopre pure queste funzioni, ma solo in aggiunta alle migliaia
d'altre che ne fanno il centro affascinante dalle
mille sfaccettature. Il più alto e ancora in parte misterioso di tutti i
nostri organi!
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