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domenica 25 novembre 2012

L'amicizia non è una continuazione dell'amore! (Channing Tatum)






Da una lettura di Francesco Alberoni

L'amicizia non è una continuazione dell'amore!


L'innamoramento, finché è vivo, rende inconoscibile l'altro. Tende alla collettività e spinge l'individuo a tra­scendersi nella collettività. Se continuiamo ad essere inna­morati di una persona, anche dopo anni di separazione, continuiamo a non sapere che cosa veramente fosse e che cosa veramente pensasse. Di un amore che non si è consu­mato nella quotidianità, ma che è stato troncato, non sa­premo mai neppure se l'altro ci amava veramente oppure no. L'innamorato non è mai sicuro dell'amore dell'amato se 



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l'amato non glielo dice. Solo chi non è innamorato può capire se l'altro è innamorato, da comportamenti, gesti ti­pici. Il non innamorato diagnostica. L'innamorato spera.
L'innamoramento può continuare, farsi istituzione, e al­lora diventa amore reciproco, stabile, profondo. Può invece fallire. In questo caso, in genere, non termina per consun­zione lenta, pacifica. La sua fine è sempre drammatica, dolorosa. C'è sempre delusione. L'innamoramento è una ricerca della reciprocità, una esplorazione del possibile. Ciascuno chiede all'altro delle 



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cose che non ha o non può dare, delle cóse che non può fare. Ciascuno incontra sem­pre, nell'altro, dei punti di non ritorno. La disperazione che appare al punto di non ritorno rivela gli aspetti più profon­di della persona, i cardini su cui è costruito l'io. È contro questi ostacoli, questi punti di non ritorno, che l'amore si infrange. Agli occhi dell'innamorato i rifiuti dell'altro sono debolezze colpevoli, limiti assurdi. Se l'altro non fa ciò che lui chiede non si sente riamato « abbastanza». Perciò dice di no, se ne va. Perché pensa: se lui non fa cose di così poco conto, allora vuol dire che non mi ama. L'ostacolo che in­terrompe lo sviluppo positivo dell'innamoramento è sempre dovuto à qualcosa che sembrava troppo banale per poter provocare un tale effetto.



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Tanto banale da farci dire che l'altro ci amava troppo poco, non a sufficienza. Ma poiché l'amore o è o non è, e non ci sono gradi, chi si sente amato in modo insufficiente preferisce rinunciare a tutto.
Entrambi, così, rinunciano all'amore perché non si sen­tono amati abbastanza. Entrambi arrivano a questa con­clusione perché ciascuno rifiuta qualcosa che, invece, po­trebbe fare. Ma, a distanza di anni, quando l'innamora­mento è finito, quello che sembrava un ostacolo meschino appare ciò che in realtà era: un asse portante della persona. Tutti gli intralci casuali erano nodi del carattere, perni fon­damentali in cui l'amore inciampava nel suo turbinoso tra­sformare. D'altra parte ciò che appariva troppo poco, op­pure non a sufficienza, confrontato con altre esperienze, appare ora molto, moltissimo. Quella che veniva giudicata alterigia viene, ora, vista come 



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insicurezza, paura. Ciò che sembrava superficialità era coraggio, l'incertezza dispera­zione. Le persone si vedono, per la prima volta, oggettiva­mente e l'una dal punto di vista dell'altro.

C'è un luogo comune, una leggenda che si riproduce, in tutte le forme, secondo cui, l'innamoramento, anche quando finisce male, conduce all'amicizia. I due che, in­namorati, non si conoscevano e non si comprendevano; ora si accorgono che, in realtà, si conoscevano a fondo e, Iibera­ti dalla passione, si amano come amici. Questo, in genere, non è vero. L'innamoramento, quando finisce, lascia sem­pre qualche rancore, qualche amarezza. Anche dopo anni ciascuno rimprovera all'altro di non aver saputo conservare e di non saper ritrovare il paradiso perduto. Gli ex innamo­rati vorrebbero ritrovare l'emozione entusiasmante delle origini e, poiché sono solo loro due, e non ci sono altre cause che ostacolano la loro azione, si accusano l'un l'altro di non saper far rivivere ciò che è morto. I loro cuori sono sempre pieni di nostalgia e la nostalgia crea risentimento. Soprattutto in quello dei due che ha avuto l'impressione di essere stato più danneggiato, di essere stato ingannato.



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È perciò molto difficile, contrariamente a quanto si dice e, soprattutto, si spera, che l'innamoramento, finendo, lasci una serena amicizia. Lascia piuttosto il desiderio ossessivo di manipolare l'altro, di occupare i suoi pensieri, di attirare la sua attenzione, senza Iasciarlo un attimo solo. L'amore, quando finisce male, si trasforma spesso in desiderio di pos­sesso, testardo, rapace. Questo desiderio di continuare ad esistere nel cuore dell'altro può ispirare azioni grandi ed eroiche, può spingere, chi ha delle doti creative, a realizzare un'opera d'arte. L'amicizia fra ex innamorati è, perciò, difficile, proprio, perché in Ioro continua ad agire il desiderio del paradiso perduto e il 



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risentimento nei riguardi di chi non lo ha sapu­to realizzare un tempo e non sa evocarlo ora. L'amicizia può sorgere solo quando tutti questi fantasmi sono stati dis­solti. In genere quando entrambi si sono innamorati un'altra volta. Solo un nuovo innamoramento distrugge il risen- timento. Solo un nuovo innamoramento felice ripercorre il passato col suo fuoco purificatore. Solo quando questo in­namoramento è diventato amore sereno, possono ritrovarsi serenamente. Allora tutto dipende dalle virtù che possede­vano veramente. L'amicizia è un giudice impietoso, non, ammette eccezioni. Se avevano delle qualità che anche Ia lucida coscienza riconosce come valori, può sorgere l'amici­zia.
L'amicizia non è, quindi, una continuazione dell'amore. È la ri­scoperta, della persona un tempo amata. Non più con gli occhi entusiasti dello stato nascente, ma con quelli attenti dell'incontro. In questo caso iI passato non va perduto. Costituisce lo sfondo di una solidarietà profonda.
Perché, allora, la gente dice così spesso: « Siamo rimasti amici »? Forse, 



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semplicemente, per indicare che sono rima­sti in buoni rapporti, che fra di loro non c'è più risentimen­to e rancore. O che provano un reciproco affetto. Due per­sone che si sono amate, e che non si amano più, possono soccorrersi in caso di pericolo, essere solidali. Lo fanno per­ché si conoscono e perché hanno un passato in comune. Ciascuno di essi è, nei riguardi dell'altro, un «prossimo», a cui si deve aiuto ed anche un po' di riconoscenza.
Spesso, però, la gente dice «siamo rimasti amici» pro­prio per negare ciò che continua ad esistere: il desiderio ed il rancore profondi. Dice così per convincersi di aver doma­to i demoni. L'amicizia apollinea serve a nascondere la ten­tazione e la paura del dionisiaco. A volte, infine, questa frase serve solo a dire che i due ex amanti hanno conserva­to dei rapporti civili, cortesi, non avvelenati dall'odio. Ma­rilyn Monroe e Arthur Miller, dopo il divorzio, continua­vano a parlare bene l'uno dell'altro; dicevanò, in continua­zione, di essere rimasti amici. Ma era vero? In realtà non si sono più incontrati. Forse se lo ripetevano solo per poterci credere, per esserne sicuri. Tutto questo conferma solo quanto in realtà sia difficile arrivare all'amicizia partendo dall'amore.

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