Colazione da Tiffany's - 1961 - Evergreen 2 |
Colazione con Audrey
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New York; una giovane donna
fasciata da un tubino nero, occhiali da sole e sacchettino di carta in mano,
cammina con grazia e leggerezza all'ombra dei palazzi della Fifth Avenue. Questi, marmorei e biancastri,
troneggiano impassibili ed immuni ai turbamenti (o paturnie) della vita
d'ogni persona. In particolare Tiffany & co., gioielleria nella quale
"pare che nulla di male
possa mai accaderti" è la meta della nostra Holly, la quale,
estratti croissant e bibita dal sacchetto, osserva la vetrina mentre consuma
la sua colazione. Così si apre "Colazione da Tiffany", film nell’olimpo dei più cult di tutti i tempi.
Quando
nell’autunno del 1960 Audrey Hepburn decise non senza molti dubbi
(aveva da poco partorito il suo primo tanto desiderato figlio) di partecipare
alla trasposizione cinematografica del film tratto dall'omonimo romanzo di
Truman Capote, compì quella scelta che l'avrebbe legata per sempre alla
paradossale – cinica –sognatrice - adorabile Holly Golightly. Holly è una sofisticata donna di
New York che tra party e visite a Sing Sing ha un solo mero obiettivo: farsi sposare da un qualche
ricco sfondato. Abita in un pratico appartamento con un gatto senza nome, dorme con i tappi per
le orecchie, chiama i
taxi con un fischio e veste scintillanti capi alla moda; poco gli
interessano gli altri e forse poco gli interessa anche la sua quotidiana
routine, patinata solo all’apparenza. Un giorno Paul (George Peppard),
scrittore alle prime armi ed in cerca di idee e tranquillità, si trasferisce
nello stesso palazzo, ma dopo la conoscenza di Holly si accorgerà che con lei
vicina il suo mestiere
non gli era mai sembrato così difficile. In mezzo alle luci ed ai
rumori di New York, tra strade trafficate e chiassosi interni si svolge
l'amicizia dei due e la ricerca della propria compiutezza personale di Holly.
"Colazione da Tiffany" è più di un film ed in esso Audrey Hepburn è più di un
attrice. Insieme fanno moda e tendenza, così come di tendenza erano i magnifici abiti
ideati appositamente per Audrey dal celebre
stilista Hubert de Givenchy, che si aggiungeva alla schiera di nomi
famosi legati alla produzione quali Blake
Edwards, Truman Capote e Henry Mancini. Le locandine del '61 certo non
peccarono di superbia quando inneggiarono ad un film che sarebbe stato "eternamente chic".
Quante cose infatti ancora oggi appaiono inscindibilmente legate ad esso: il lunghissimo bocchino per sigaretta
che usa Holly, il magnifico tubino
nero disegnato da Givenchy,
l'indimenticabile "Moon
river", motivo principale della colonna sonora di Mancini, la
stessa casa di gioielli di Tiffany & co., che ottenne una pubblicità non
superabile neppure dai moderni media. Ed ancora Audrey Hepburn, in una delle
più famose e celebrate
interpretazioni della storia del cinema. Infine quella scena del bacio sotto la
pioggia: magica, superba,
cristallizzata nelle languide note di "Moon river" che paiono
trasmettere allo spettatore una sensazione di eternità. L'eternità
dell'avvicendarsi delle paturnie e della felicità, del sole e degli
acquazzoni, l'eternità di un film davvero unico.
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L'insostenibile
leggerezza dell'essere
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Sullo sfondo di una New York
"Eldorado", simboleggiata dai bagliori e dai brillanti del lussuoso negozio di
Tiffany incastonato nel titolo, si dipana la storia d'amore tra uno
scrittore esordiente e squattrinato, Paul, e una giovane "senza
origini" (Holly-Lulamy), che mira alla ricchezza tanto quanto tiene alla
propria libertà interiore. Giocato sul filo dell'ironia e della satira
leggera per gli stereotipi della commedia sentimentale della società dorata (l'amore impossibile, ma
coronato da lieto fine, tra il letterato mantenuto da una ricca attempata
signora e la giovane a
caccia di un marito facoltoso, tra party e serate alla moda), il film
disegna
una trama leggera come un origami, in cui i personaggi sanno vivere
con grande intensità pur
senza mai cedere alla dimensione drammatica dell'esistenza. Passioni,
emozioni, scelte controcorrente e problematiche, matrimoni e separazioni,
tragedie familiari, persino guai giudiziari che li vedono coinvolti vengono affrontati ogni volta
con un senso della misura e del provvisorio, che tanto rassicura gli
spettatori, guidati sapientemente alla serena consapevolezza che tutto si
risolverà, purché gli si dia il giusto peso. Nessuna porta, anche sbattuta
con violenza, si chiude per sempre: perché di irrevocabile, al mondo, c'è davvero soltanto la morte. Da questa
consapevolezza, la breve ma intensissima lettura della vita che ogni film
s'incarica di ritagliare nel caso specifico diventa una sorta di guida a
riscoprire la fondamentale dimensione leggera
dell'essere (insita nella sostanziale evanescenza e irripetibilità
della singola
esistenza). Come vorremmo tutti poter sempre ricordare, per noi
e per gli altri anche nel consumare le nostre, personali e quotidiane, molto
spesso più modeste "Colazioni".
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Il rifugio nelle
proprie paturnie
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"Moon river, wider than a mile, I'm crossing you in style some
day..." Indimenticabili le note di Moon
River che accompagnano Audrey Hepburn in Colazione
da Tiffany, con il suo incomparabile stile che rappresenta di certo la
forza di ogni donna persa nelle proprie paure, che si costruisce un
inespugnabile scudo attraverso la sua
originalità per non affrontare mai
situazioni che possano metterla in discussione. La sua eleganza, il suo
entusiasmo e le sue strane manie e il caos in cui vive la aiutano a costruirsi quella gabbia di
cui parla George Peppard, sicuramente protettiva e luccicante in
superficie ma mortifera e costringente all'inettitudine in fondo. E così se
Holly non avesse mai incontrato quello scrittore (anch'egli solo e incapace
di imporsi nel mondo), con tutta probabilità sarebbe rimasta davanti alle
vetrine di Tiffany a sognare per il resto della sua vita, senza poter entrare
e comprare nulla di quei sogni, senza poter
afferrare la propria, vera, libertà. Non la tanto sbandierata da lei
stessa indipendenza dai
sentimenti e dalle opinioni della massa, nè la ricchezza ridicola e cieca che ricercava pur
sapendo trattarsi di un
vicolo cieco, quanto la libertà e il coraggio di amare e farsi amare
semplicemente per com'era. E forse molti di noi riscontrano di assomigliare
un pò a questa strana ragazza, soprattutto in quei momenti della vita in cui
mostrare la nostra vera identità e il nostro reale carattere sembra farci vergogna e
così preferiamo avere come scusa davanti agli altri le nostre paturnie, le
nostre fisse, i nostri gusti così fuori dal comune, per non lasciare trasparire le nostre
insicurezze e le nostre paure. Ma a volte invece sono proprio quelle
cose che tendiamo a celare che ci danno fascino e spensieratezza. E così andrebbe in effetti
vissuta la vita, proprio come canta Holly su quel davanzale, andrebbe
navigata ad esplorata in lungo e in largo con
il nostro proprio stile, e
forse le cose belle che ci portiamo dentro potrebbero giungere a qualcuno
che, come un apparente anonimo Paul Varjak, non solo le capisce e le apprezza, ma le esalta
fino a farci uscire da quel taxi perso in mezzo al traffico del mondo per poi
farci ritrovare ciò che veramente conta nella vita che si riassume in quel senza tempo bacio sotto la pioggia.
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Colazione da Tiffany's - 1961 - Evergreen 10 |
Gabry, tu che mi capisci, lo vedi questo bacio immortale, ma vero non da celluloide, per un bacio così farei qualsiasi cosa. Sono stanca di nuovi incontri, appuntamenti mancati, mariti assenti e amanti fedigrafi. Voglio una storia vera, a tutti i costi, non tante storie con la somma di niente.
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