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martedì 12 giugno 2012

Passione e morte








La tragica storia d´amore tra la contessa Trigona e il tenente Paternò finito con le pugnalate alla nobildonna palermitana. Nelle ultime lettere emergeva l´ombra della violenza dietro le continue scenate.

Sparpagliate per la stanza dell´equivoco alberghetto "Rebecchino" di Roma, sopra il letto disfatto e sotto i corpi esanimi dei due amanti, la polizia raccolse più di cento lettere che la bellissima Giulia Trigona aveva inviato al suo affascinante tenente di cavalleria, Vincenzo Paternò Del Cugno, il suo assassino, fra il 1909 e il 1911. Ma quelli non erano amanti qualunque e quelle non erano lettere qualunque.


La Contessa Giulia Tasca di Cutò



Fra queste missive appassionate c´erano anche notizie delicatissime che riguardavano la casa reale. Così tutto l´epistolario passerà subito dalle mani della polizia a quelle di Giovanni Giolitti, ministro degli Interni e presidente del Consiglio, che ne fece un´accurata cernita. Le lettere restanti, dopo il processo per l´assassinio della donna, furono consegnate al re, che le assicurò al fuoco del camino.
Sono dunque gli atti giudiziari che tramandano parte di quella corrispondenza e la storia di quell´amore così violento fra la contessa palermitana Giulia Trigona di Sant´Elia, nata Tasca dei principi di Cutò, dama di corte della regina Elena e madrina di battesimo del principino Umberto, e il tenente di cavalleria Vincenzo Paternò del Cugno, anch´egli palermitano. S´incontrarono la prima volta nell´agosto 1909 durante un ricevimento dei Florio a Villa Igiea. Lei, trentaduenne, bellissima nel suo abito nero per la recente morte di una sorella nel terremoto di Messina; lui, di due anni più giovane, affascinante nella sua divisa e nella sua fama di "tombeur de femmes". Lei, madre di due figlie, e moglie del sindaco di Palermo, conte Romualdo

  


Trigona, che in quel periodo intratteneva una relazione non troppo segreta con un´attrice della compagnia di Scarpetta.
L´amore divampò subito e fu travolgente e tragico. Alla passione senza limiti della contessa si contrapponeva la gelosia morbosa del tenente che viveva di debiti e di espedienti, dominato dalla passione per i cavalli e per il gioco. Il finale sembrava scritto come nei migliori romanzi d´appendice: lei, sfinita per le continue scenate di gelosia, gli dà l´ultimo appuntamento per mettere fine a quella relazione e avere restituite le sue lettere. Il 2 marzo 1911 fecero per l´ultima volta l´amore. Poi lui con un coltello da caccia la colpisce alle spalle e, trascinandola sul letto, le vibra due coltellate mortali alla gola. Quindi con la pistola si spara alla testa. Ma non muore e, nel maggio/giugno 1912, viene processato presso la Corte d´Assise di Roma. 


 


Le lettere della bella Giulia furono le principali protagoniste di questo processo seguito con avidità da tutti i giornali. A cominciare dalle arringhe dell´avvocato Arturo Vecchini, difensore del Paternò, che per dimostrare come la contessa avesse trascinato il suo difeso "con sé e dietro di sé con l´audacia del pensiero spregiudicato", fece una crestomazia delle frasi più audaci scritte dalla donna: "Tutto quello che il mondo chiama dovere e onestà mi sembra pusillanime e sciocco". "Nel tuo affetto ho trovato tutte le dolcezze, tutte le consolazioni che credevo perdute per sempre! Una ragione fisica e morale m´impone di amarti; io debbo, io voglio godere per intero questa magnifica sensazione che è il solo raggio di sole della mia vita. Io non temo nessuno, solo l´idea che il tuo amore possa diminuire mi agghiaccia ed a questo pensiero sento mancarmi la vita"; "Tu sei proprio come ti desideravo: buono, affettuoso, tutto mio... Enzo mio dolce, perché sai così bene amarmi?"; "Sono una appassionata, sono una innamorata di tenerezza. Di te voglio tutto o niente"; "I tuoi baci mi elettrizzano, le tue carezze mi danno il paradiso"; "O delizia de´ miei sensi! La tua dolce bocca mi fa impazzire di voluttà!"; "Mi getterò nelle tue braccia sfinita di passione e tu dovrai distaccarmene a forza!"; "Stringimi forte, fammi male, voglio che tu mi lasci i segni del tuo amore!".


 


Frasi che fecero molta impressione e furono considerate uno schiaffo "al pudore e alla rosea delicatezza" degli innamorati di Guido Gozzano, mentre i primi critici del nascente cinematografo si scandalizzavano per il "bacio alla danese". E a queste espressioni così sensuali cosa rispondeva Vincenzo Paternò? "Madonnina mia! Santa mia! Cosuzza mia! " Oppure: "Vorrei essere il tuo asinello". Mentre la gelosia sprizzava in ogni sua lettera: "Tu hai messo un cappello nuovo... Ieri sera eri troppo scollata".
L´epistolario amoroso fu integralmente letto nel corso del processo. Come scrissero i cronisti, le lettere di Giulia erano scritte su carta "leggerissima color rosa, o violacea, o azzurrognola, e sprigionano ancora sottili profumi femminili che rendono più profonda l´impressione di lei".
Siccome della felicità non si può raccontare altro se non quello che la prepara o quello che la distrugge, leggiamo qualche lettera della fase calante dell´idillio, quando le gelosie e i rimbrotti di lui stavano distruggendo il rapporto.
Trenta aprile 1910: "Enzo adorato, mi sento infinitamente triste quasi più per te che per me. Io capisco che quando si ama certe cose non si possono sopportare con pazienza ed io ne soffro. Ma amore adorato, che colpa ne ho io? Io non amo che te solo 


  


al mondo. Ti giuro, o vita mia, che io di mia volontà non ti darò mai dispiaceri, ma dovrò qualche volta subire ciò che il convenzionalismo ha stabilito. Quando ti ho lasciato stamattina mi sono sentita una stretta al cuore, mi sembrava di essere sola al mondo, il tuo bene è la mia vita e se mi privassi del tuo amore io sento che non saprei più vivere. Perché, amore, ti sei fatto tanto voler bene? Mi hai preso tutta, e corpo e anima, ed io soffro tanto. Non ho la testa a posto e rischierei tutto pur di saperti più tranquillo, pur di sapere che mi vuoi ancora bene. Fra poco andrò al concerto e poi verso le sei un momentino allo "Sport" unicamente per vederti. Mi batte il cuore forte forte: sono tanto infelice, amore. Come sei stato cattivo questa mattina e tanto ti adoravo. Ti stringo con adorazione. Tua G".
Ventotto maggio 1910, ore 24: "Caro Enzo, visto che non sai mantenere le promesse, mi sento anch´io sciolta dalle mie. Questa sera non ho parlato con nessuno che ti potesse seccare e tu, solo per mezzo centimetro di scollatura più giù, hai fatto tutto quello che fra noi è stato stabilito di evitare. Visto dunque che ti fa comodo di disobbedirmi, ti imiterò per essere uguale a te. Ti abbraccio affettuosamente. G".


 


Ventisei giugno 1910: "Enzo mio adorato. La tua lettera di questa mattina mi ha annientato. Vuoi proprio lasciarmi per sempre? Come farò a vivere senza di te? Io sento di non poter più continuare questa vita d´inferno. Non posso precisare l´epoca della mia liberazione (il divorzio dal marito, ndr), ma ti dico soltanto che un bel giorno saprai che io son sola al mondo senza il tuo amore che mi sostenga. Tu parli di amare un´altra donna: ma bada che quel giorno io verrò a strappartela, perché tu sei mio e solo mio devi essere. Enzo adorato, soffro troppo; mi sembra impazzire".
E il 16 febbraio 1911, alle ore 24,30, quindici giorni prima della tragedia, Giulia Trigona scriveva: "Enzo adorato. È così che si fa a pezzetti il cuore di una povera donna? È questo tutto l´amore che hai per me? Mi tratti come una cattiva donnaccia che si disistima e che si detesta. Vengo ora dal telefono disfatta, ammalata. Enzo mio, come mi fai soffrire senza ragione e senza pietà alcuna. Questa sera al telefono mi dici un mondo di cattiverie e mi lasci tanto triste, abbattuta, e dopo un´ora mi richiami per trattarmi anche peggio. E sono venuta di corsa al telefono sperando in un tuo ravvedimento, in un lucido intervallo di bontà, di ragionevolezza, di giustizia, e ti trovo peggio, più inflessibile. Io sento di non poter resistere, io sento e prevedo che un giorno anche tu dovrai convenirne. Quando ti ho lasciato poco fa al telefono avevo il cuore che mi batteva e vedevo tutto che mi girava intorno. Ah! Come vorrei finirla con questa vita che per me non ha che dolori continui. Chi sa se mi sveglierò domani? Addio tesoro mio, ti voglio tanto bene e sono stata perfetta per te in questo 1910. Ti giuro, credimi, io ti ho adorato troppo! Stringimi forte forte, anche se non mi ami più, stringimi, lascia che io ti baci come la prima volta. G".
In quest´ultima lettera c´è il presagio della tragedia. Una tragedia disperatamente e squallidamente messa in opera da questo "farfallone attratto dalla vivida luce della lanterna dei Florio", come Tomasi di Lampedusa definì Enzo Paternò, che scontò il suo misfatto con l´ergastolo. Il movente fu attribuito principalmente alla gelosia, ma c´è forse una ragione più profonda che guidò la mano dell´assassino: l´umiliazione dell´orgoglio maschilista di fronte alla "audacia del pensiero spregiudicato", secondo la definizione dell´avvocato Vecchini. Una metafora dell´eterno conflitto tra passato e futuro.


2 commenti:

  1. Questo commento è stato eliminato da un amministratore del blog.

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  2. Interesante.
    Il cognome e "Trigona", o "Trigorna", con R.... l'ho trovato di queste due forme.
    Grazie.
    Diana E.

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